Equilibro dei corpi
Mostra Scuola di Scultura
A cura di Marina Brancato
10 Gennaio | 4 Marzo 2024
Opening Mercoledì 10 Gennaio 2024
Accademia Di Belle Arti di Napoli, Giardini esterni Leoni, Largo Nanni Loy, 80138 Napoli
Deanna Acanfora, Alessia Cristoforo, Angela Pagano e Biagio Salvati
“La visione può servire a evitare opposizioni binarie. Vorrei insistere sulla natura corporea di ogni tipo di visione, e in tal modo rivalutare il sistema sensoriale che è stato usato invece per significare un salto che esce dai confini del corpo marcato ed entra in uno sguar- do conquistatore che viene dal nulla. E questo lo sguardo che inscrive nel mito tutti i corpi marcati, e che permette alla categoria dei corpi non marcati di rivendicare per sé il potere di vedere e di non essere visti, di rappresentare e allo stesso tempo di sfuggire alla rappresentazione” (D. Haraway, Manifesto Cyborg).
Fare arte, parlare di arte, mostrare l’arte significa avere un potere, anche quando è celato dietro una parvenza di oggettività e di mera neutralità, per dirla con le parole di Donna Haraway. Le riflessioni su corpo, genere, soggettività, potere si rivelano così urgenti e necessarie in ogni pratica artistica. Le opere in mostra ci sollecitano a ragionare sulle relazioni tra corpi, spazi e gli infiniti modi in cui i corpi sono vissuti, occupati e percepiti. Ma anche la capacità di risemantizzare il nostro sguardo su questa relazione vitale. Se assumiamo che l’incorporazione sia una condizione esistenziale in cui il corpo è la fonte soggettiva e il terreno intersoggettivo dell’esperienza, dobbiamo allora riconoscere che gli studi e le pratiche artistiche inclusi sotto la rubrica “incorporazione” non riguardano il corpo in sé. Essi riguardano invece la cultura e l’esperienza, nella misura in cui queste posso essere comprese dal punto di vista dell’essere nel mondo corporeo.
Deanna Acanfora nella sua opera, trova riferimento nelle korai dell’Eretteo e nelle ‘’Femme maisons’’ di Louise Bourgeois. La presenza di una casa in cemento all'apice della scultura, viene giustificata da ciò che essa rappresenta, ovvero, uno spazio privato e intimo che diventa specchio e riflesso dell’intera soggettività dell’individuo, della sua parte cognitiva, affettiva e della sua memoria. Essa rappresenta simbolicamente un’estensione “architettonica” della nostra stessa pelle, un confine psichico, e non soltanto materiale, mediante il quale non solo ci separiamo dall’esterno, ma preserviamo e ridefiniamo la nostra identità. Un luogo confort, “familiare”, che può rappresentare un limite nella quale non si percepisce più l’abuso, in quanto spazio di un contesto per l’apprendimento di un modello sociale che condiziona il nostro percorso di vita, ci rende schiavi di un bisogno che appaga altri e non noi, di un’ossessione per il bene comune e non individuale, parte di uno schema o anche solo della nostra immaginazione distorta.
Nei frammenti di corpo di Alessia Cristofaro, si evince la disconnessione emotiva che viviamo nello specchiare noi e gli altri. Siamo fragili interiormente e fatichiamo a mettere insieme i fardelli sociali, al punto tale da lasciarci influenzare, contaminare, dilaniare, per non essere capaci di rispondere alle pressioni e alle sollecitazioni. Ciò che siamo veramente, il vuoto che ci pervade appare solo agli occhi chi davvero osa leggerci dentro, altrimenti un corpo di bellezza da conquistare e fruire arriva prima del resto, prima dei bisogni profondi, prima delle esigenze primarie.
Angela Pagano con il suo lavoro indaga lo spazio circostante in relazione al corpo, soprattutto rispetto allo spazio interno. Il muro attorno al corpo femminile, rappresenta il limite che ha significato nella storia, il confine, la divisione, la devastazione e la censura. L’artista ci invita ad immaginare a “guardare oltre il muro”, identificandoci in come si sente realmente quella donna, quel corpo sotterrato dall’ignoranza e dagli obbrobri sociali e politici. Dobbiamo liberare il corpo e la mente da tutti i luoghi comuni, dal pregiudizi che appiattiscono la vita, guardare nella profondità dell’animo altrui e cercare di comprendere l’altro, in modo tale da costruire legami potenti, riconoscendo il valore dell’umano nel ruolo sociale della vita.
Nell’opera di Biagio Salvati ci rendiamo conto, di quanto sia scomodo di fatto essere a testa all'ingiù. La sua spasmodica connessione con la tecnologia e il mondo social, ci ha privati della posizione eretta e ci ha spinti sempre di più a dover mostrare status che non mantengono niente di reale, pur di mostrarci capaci e desiderati, come fruitori e attori del sociale.
La mancanza di razionalità, ha spazzato via, i valori culturali addensando, sempre di più relazioni che mancano del principio base dell’amore e dell’empatia, il cui fine non è solo la iperconnettività dell’apparenza, ma l’accettazione in un modello in cui il giudizio e la considerazione dell’altro, è la bilancia per la stabilità emotiva del proprio sé. Lo scarto del reale, come interazione delle proprie emozioni, diventa il metro entro il quale posizionarsi e consumarsi dall’uso indiscriminato del virtuale.
