Giulia Grechi è antropologa. I suoi interessi di ricerca includono gli studi culturali e postcoloniali, le migrazioni, la museologia, con un focus sulle rappresentazioni del corpo e sulla “italianità”, e su come le pratiche artistiche contemporanee possano ridiscutere e dare diversa forma a questi immaginari. È dottoressa di ricerca in “Teoria e ricerca sociale” presso l’Università La Sapienza di Roma. È prof.ssa di Antropologia Culturale e Antropologia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Ha tenuto corsi di Sociologia dei processi culturali a IED – Istituto Europeo di Design, Roma, dove ha co-curato insieme a Viviana Gravano otto edizioni del Master per Curatore Museale di Arte Contemporanea e di Eventi Performativi.
È stata ricercatrice a contratto presso l’Università L’Orientale di Napoli nel Progetto EU “Mela – European Museums in an Age of Migrations”, all’interno del quale ha indagato la relazione tra musei, antropologia e arte contemporanea.
È socia fondatrice del collettivo curatoriale Routes Agency. Cura of contemporary arts, ora confluito nell’associazione culturale Attitudes Spazio alle arti. Come Routes Agency, con Viviana Gravano, ha curato eventi di ricerca e mostre presso musei (MAXXI, museo etnografico Luigi Pigorini – Museo delle Civiltà) e altri spazi romani (Casa della Memoria e della Storia, Teatro Vascello all’interno del RomaEuropaFestival), centrati sulle eredità culturali del colonialismo italiano, e sulle loro riletture da parte delle arti contemporanee.
Come Routes Agency, ha collaborato con diversi progetti di ricerca internazionali, tra i quali REcall – European Conflict Archaeological Landscapes Reappropriation; Transnationalizing Modern Languages Mobility, Identity and Translation in Modern Italian Cultures, per il quale ha curato insieme a Viviana Gravano la mostra finale Beyond Borders – Transnational Italy, che tra il 2016 e il 2018 ha viaggiato tra Roma, Londra, New York, Melbourne, Addis Abeba e Tunisi; Transcultural Attentiveness, progetto realizzato su iniziativa del Goethe-Institut di Roma, curato da Giulia Grechi e Viviana Gravano in collaborazione con il Museo delle Civiltà di Roma, e centrato sulla creazione di una comunità intergenerazionale di formazione sul patrimonio coloniale. All’interno del progetto sono state realizzate la mostra L’inarchiviabile. Radici coloniali, strade decoloniali, con opere frutto di residenze presso la collezione coloniale del Museo delle civiltà, il podcast Riguardo alle parole, una serie di workshop didattici con alcuni licei romani, progettati da Anna Chiara Cimoli e realizzati con AMM – Archivio Memorie Migranti.
È cofondatrice della rivista roots§routes research on visual cultures, che co-cura insieme a Viviana Gravano e Anna Chiara Cimoli (redazione e comunicazione Paola Bommarito). La rivista nasce dall’esigenza di aprire uno spazio di riflessione sul ruolo che svolgono, o potrebbero svolgere, le estetiche contemporanee in relazione a tematiche o contesti di tipo antropologico, rispetto a uno scenario mondiale che ridiscute e problematizza il concetto di coloniale e postcoloniale.
È una delle fondatrici di “yekatit12-19febbraio”, rete di attivistÉ™ su scala nazionale che propongono pratiche di ricerca e trasformazione intorno alle eredità culturali e materiali del colonialismo italiano, soprattutto negli spazi pubblici.
Ha pubblicato i volumi monografici: La rappresentazione incorporata. Una etnografia del corpo tra stereotipi coloniali e arte contemporanea (Mimesis 2016) e Decolonizzare il museo. Mostrazioni, pratiche artistiche, sguardi incarnati (Mimesis 2021). Ha curato (con Iain Chambers e Mark Nash) il volume The Ruined Archive (Politecnico di Milano 2014), e (con Viviana Gravano) Presente Imperfetto. Eredità coloniali e immaginari razziali contemporanei (Mimesis 2016).
Ritiene che insegnare sia una forma di militanza politico-culturale, così come fare ricerca, dentro le pratiche, le traduzioni e le ri-mediazioni dei modelli culturali che le persone operano incessantemente nella loro vita quotidiana. Spesso legge poesia (e la cerca, anche dove sembra proprio non esserci).
Statua di Cristoforo Colombo abbattuta durante le proteste di Black Lives Matter, Minnesota State Capitol, St Paul, giugno 2020
L’antropologia è essenzialmente un metodo, uno sguardo, un approccio critico e analitico sulla complessità del mondo, delle identità e delle appartenenze.
È questo il punto di partenza del corso di Antropologia Culturale. L’obiettivo è sperimentare e esercitare la molteplicità dei punti di vista sulla realtà (compresi noi stessx), comprendere meglio cosa significano termini come identità, differenza, alterità. In altri termini, l’obiettivo del corso è “imparare a vedere”, come scrive bell hooks in Elogio del margine: “vedere qui è inteso come potenziamento della consapevolezza e della comprensione, come intensificazione della capacità di fare esperienza del reale attraverso i sensi”. Non si tratta dunque di un corso di “storia dell’antropologia”, ma dell’elaborazione e della condivisione di una sorta di “cassetta degli attrezzi”, che saranno poi a disposizione per le nostre ricerche personali e professionali.
Il corso è centrato su alcune questioni fondamentali, che sono i luoghi a partire dai quali iniziare a sperimentare come pensare, guardare, agire da un punto di vista antropologico anche attraverso le arti contemporanee.
La principale questione riguarda la relazione della nostra cultura con il proprio passato coloniale, la (mancanza di) consapevolezza delle
eredità culturali del colonialismo italiano in molti luoghi della nostra quotidianità: dalle rappresentazioni nella comunicazione visuale e di massa, all’odonomastica e le architetture delle nostre città, alle politiche sulle migrazioni. Fra questi luoghi, il focus proposto è sul
patrimonio culturale, e in particolare sui
monumenti come dispositivi culturali attraverso i quali nella nostra cultura abbiamo costruito e dato forma alla nostra identità, raccontato (o a volte invisibilizzato) la Storia, le storie, le memorie collettive.