1861-1922

dall’Unità d’Italia ai primi del Novecento

Dall’Unità d’Italia ai primi del Novecento

Solo con l’Unità d’Italia presero davvero voce le forze giovani e una concreta fase di maturazione iniziò per l’Istituto, ormai posto alla dipendenza del Ministero dell’Istruzione Pubblica; una fase resa possibile sia dalle mutate condizioni spirituali e politiche, sia dal trasferimento dell’Accademia nella attuale sede, il complesso di San Giovan Battista delle Monache, trasformato da Errico Alvino a partire dal 1864.

In vero, prima del trasferimento, una commissione composta, tra gli altri, da Michele Baldaccini, Fausto Niccolini, Saverio Altamura, Tommaso Solari e Michele de Napoli, aveva già portato a termine i lavori per un nuovo ordinamento (approvato nel 1861 e seguito sino al 1878) che divise le Scuole in tre categorie: la prima costituita da cinque Scuole e destinata all’insegnamento elementare delle arti; la seconda destinata alle arti maggiori (pittura, scultura, architettura); la terza rivolta agli studi di perfezionamento, ossia il Pensionato di antica istituzione.

Alla direzione dell’Istituto fu posto il letterato Cesare Dalbono (1861-78), che coinvolse nella vita dell’Accademia i letterati e gli artisti più famosi della città, e in particolare Filippo Palizzi e Domenico Morelli. A questi ultimi il ministro Francesco De Sanctis affidò il compito di elaborare un nuovo statuto, alla luce di quanto stava accadendo a Roma e a Firenze. Di fatto, il nuovo statuto, approvato nel novembre del 1878 e volutamente dissimile da quello delle Accademie delle città sopra citate, distinse l’Istituto napoletano in due settori: uno rivolto alle Scuole di Pittura, Scultura, Decorazione e Architettura; l’altro - di grande modernità - dedicato alle Scuole-Officine di applicazione per l’esercizio e la pratica delle arti minori, da cui nacque, tra il 1880 e l’82, il Museo Artistico Industriale, inizialmente anch’esso collocato nell’Istituto e ben presto da questi distaccato. D’altro canto, l’interesse per lo sviluppo dell’insegnamento delle arti applicate era un problema da tempo avvertito in abito europeo e a Napoli messo in rilievo già nel VII Congresso pedagogico del 1871.

Intanto, nel 1877, anche il ‘progresso’ delle arti ben si era manifestato in occasione della celebre Esposizione nazionale di belle arti tenutasi negli spazi dell’Accademia.

Nonostante il fervido clima di rinnovamento - durante il quale era stato dato valore fondativo anche alla Storia dell’arte - non mancavano momenti di forte scontro tra tradizione e innovazione. Gli stessi protagonisti di quegli anni decisero, infatti, di prendere le distanze dall’istituzione, almeno per qualche tempo; nel 1881, mentre Palizzi si dimetteva dall’incarico di presidente, Morelli rinunciò della cattedra di Pittura.

I due sarebbero tornati all’Istituto dopo dieci anni, ancora una volta contribuendo a mutarne le sorti con la creazione della Galleria e con una nuova riforma delle Scuole.

Mentre il XIX secolo si chiudeva, anche idealmente, con la morte dei due artisti che più avevano contribuito alla storia recente dell’Accademia (Palizzi morì nel 1899, Morelli nel 1901), le vicende dell’istituzione napoletana si accingevano a conformarsi, durante il primo Novecento, a quelle degli altri Istituti d’Italia. E se i regolamenti del 1912 e del 1918, che istituivano corsi speciali e corsi comuni (inferiori e medi), non furono del tutto messi in atto nel tentativo di conservare, almeno parzialmente, l’antica identità dell’istituzione, con la riforma Gentile del 1924 la struttura dell’Istituto mutò radicalmente: si istituì il Liceo artistico e poi si distaccò la Scuola di Architettura, trasformata ormai in Università. L’Accademia di Belle Arti (secondo la nuova denominazione) comprese i soli corsi quadriennali di Pittura, Scultura, Decorazione e, dal 1940-41, Scenografia.